La dott.ssa Erika Smeriglio, psicologa e psicoterapeuta, phD del Dipartimento COSPECS dell’Università degli Studi di Messina, ha recentemente partecipato come relatrice a due rilevanti appuntamenti scientifici internazionali dedicati alla malattia di Alzheimer.
In occasione della sesta edizione dell’”Innovations and State of the Art in Alzheimer’s and Dementia” (ISAD-2025), svoltasi a Berlino nei giorni 1 e 2 ottobre 2025 e organizzata da Innovinc International, la dott.ssa Smeriglio ha presentato uno studio dal titolo: “Negative Plasticity, Language Impairment and the Role of Artificial Intelligence in Alzheimer’s Disease”. L’evento, di elevato prestigio scientifico, ha ospitato esperti internazionali con un programma ricco di contributi focalizzati su ricerca, diagnosi e terapie innovative per Alzheimer e demenza.
Nel suo intervento, la studiosa ha proposto una rilettura della malattia di Alzheimer (AD) come una sindrome da disconnessione, superando la tradizionale visione puramente neurologica e mettendo in luce la frattura delle relazioni e dell’identità narrativa del soggetto. L’Alzheimer, infatti, non determina soltanto un deterioramento della memoria e del linguaggio, ma conduce a una progressiva desoggettivazione, manifestata in isolamento, perdita della continuità del sé e alienazione, sfidando così le interpretazioni riduzioniste di matrice biomedica.
Attraverso il contributo di prospettive teoriche contemporanee e riflessioni sociologiche, lo studio evidenzia come l’AD modifichi il rapporto tra il soggetto e il significato, la memoria simbolica e il linguaggio, compromettendo l’integrazione narrativa personale. In tale contesto, l’intelligenza artificiale si configura come uno strumento di grande potenzialità non solo per la diagnosi precoce, ma anche come supporto alla comunicazione e alla preservazione della soggettività residua.
Questa rilettura permette di sviluppare approcci clinici e pratiche di cura orientate alla riconnessione, alla presenza e alla condivisione del senso, privilegiando la dimensione relazionale dell’assistenza.
Alla 35ª Alzheimer Europe Conference, tenutasi a Bologna dal 6 all’8 ottobre 2025, la dott.ssa Smeriglio ha presentato due interessanti contributi.
Il primo lavoro, “Alzheimer: sindrome di disconnessione tra identità individuali e strutture collettive”, è frutto di uno studio pilota condotto presso il Centro Alzheimer della Sicilia Orientale, che indaga l’esperienza soggettiva della malattia, collocandola in una prospettiva culturale, sociale e politica.
Al centro della ricerca vi è il processo di desoggettivazione che colpisce il paziente: la progressiva perdita di memoria, linguaggio e relazioni personali comporta un’erosione dell’identità e conduce all’isolamento. L’AD viene, quindi, inteso come una forma di soggettività post-traumatica, coerente con le teorie della società connessionista e della plasticità neuronale negativa.
Lo studio si basa sull’analisi delle esperienze dei caregiver di pazienti ricoverati, raccolte tramite interviste strutturate su scala Likert focalizzate su tre variabili chiave: supporto sociale e istituzionale, percezione di autoefficacia e strategie di coping, e importanza del linguaggio nell’interazione con il paziente.
I risultati mettono in luce una diffusa sensazione di solitudine tra i caregiver, spesso costretti a sostenere il carico assistenziale in isolamento e con un supporto inadeguato, una condizione che riflette una disconnessione parallela a quella vissuta dai pazienti e che frequentemente conduce a uno stato di sovraccarico emotivo e pratico.
La ricerca suggerisce l’uso di tecnologie innovative – come intelligenza artificiale, realtà aumentata e telemedicina – non solo per migliorare la diagnosi e il trattamento, ma anche per sostenere i caregiver, potenziandone le competenze, facilitando il contatto con i professionisti e favorendo il mantenimento di una rete sociale di supporto. Promuovere nuove forme di interazione tra individuo, ambiente e società risulta, dunque, essenziale per mitigare l’impatto della malattia, preservare una narrazione identitaria fondata sul sociale e migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte.
Il secondo contributo, intitolato “Marker linguistici e trattamento language-focused nella demenza di Alzheimer”, si concentra sul possibile impiego dei marker linguistici come strumento clinico in fase di trattamento.
Dopo una panoramica sulle applicazioni cliniche dell’intelligenza artificiale nella diagnosi precoce, nel trattamento e nel supporto all’autonomia della persona con Alzheimer, la dott.ssa Smeriglio ha illustrato un protocollo di stimolazione cognitiva language-focused, attualmente in fase di sperimentazione presso il Centro Alzheimer della Sicilia Orientale.
Lo studio prevede un confronto tra un campione di pazienti con AD e un gruppo di controllo, con l’obiettivo di valutare efficacia, limiti e potenzialità di tale intervento. In conclusione, il lavoro mira a contribuire allo sviluppo di strumenti innovativi per il trattamento dell’AD, promuovendo una maggiore equità nell’accesso alle cure e strategie volte a preservare l’autonomia e la qualità di vita dei pazienti.
La dott.ssa Smeriglio ha commentato che “Il convegno di Berlino si è configurato come un evento scientifico particolarmente specializzato, focalizzato sullo studio della demenza di Alzheimer e sul ruolo dei caregiver, con un’attenzione particolare ai progressi e alle innovazioni delle ricerche più recenti. La conferenza di Bologna, invece, ha rappresentato un’occasione di confronto molto più ampia e multidisciplinare: non si è parlato solo della patologia, del paziente e dei caregiver, ma anche delle dinamiche sociali, della comunicazione pubblica, dei pregiudizi ancora diffusi, del ruolo delle istituzioni e delle associazioni sul territorio, fino ad affrontare tematiche come l’inclusione delle persone LGBTQ+ affette da Alzheimer. Ritengo che sia stato un approfondimento scientifico a 360 gradi, capace di coniugare rigore scientifico, applicazione clinica e visione umana. Particolarmente rilevante è stato il coinvolgimento diretto di circa 50 persone con Alzheimer presenti in sala come uditori attivi: le loro impressioni e i loro punti di vista hanno rappresentato un valore aggiunto fondamentale, mantenendo il focus sull’individuo e non solo sulla malattia. Questo aspetto, unito all’importanza di un confronto e di uno scambio attivo con altri Paesi e modelli di intervento sociale, costituisce una risorsa imprescindibile per aspirare a una sempre maggiore qualità degli interventi e, soprattutto, a una migliore qualità della vita e a una più equa accessibilità alle cure”.
